Terra Cruda. L'arte del lasciar fare

Spesso, quando si pensa al Giappone, le prime impressioni che giungono alla nostra mente sono di un paese lontanissimo dal nostro per cultura, tradizioni e stile di vita, ed anche per questo, in fondo, incredibilmente affascinante.

Geishe, samurai, ronin e imperatori considerati divinità rivaleggiano con i protagonisti di manga e cartoni animati, e tradizione e modernità appaiono in perenne braccio di ferro in quanto a rappresentatività della cultura giapponese. 

E così, tra un tempio che mescola elementi buddhisti e shintoisti, una visita ad un okija, ossia una “casa delle geishe”, una full immersion nella cultura gastronomica ed un’altra nella loro convulsa ma precisa, forse un po’ robotica modernità, tutto quanto finisce per apparirci confuso e certamente non riproducibile se non in quelle stesse terre ancestrali.


Ma vi è qualcosa, in questo popoloso arcipelago (circa 130 milioni di abitanti in quasi 7.000 isole) che può fornire una chiave di lettura per questo caleidoscopico enigma, ed è la natura.

Con 200 vulcani al suo interno, molti dei quali attivi, battuta da quattro mari ed un oceano, in piena cintura di fuoco del Pacifico, questa nazione ha ricevuto da Madre Natura un congruo “risarcimento danni” in termini di bellezza, consistente in un paesaggio straordinario e, soprattutto, nel miracolo di una flora rigogliosa, indimenticabile. 

Con più di 4.500 specie di piante, la terra dei ciliegi in fiore, del cedro-sugi, del loto e del bamboo è un luogo incantato il cui foliage, nei suoi “abiti” autunnale e primaverile, attira milioni di visitatori da tutto il mondo, mescolando le certezze di chi pensava al Giappone come ad un freddo paese basato sulla piena efficienza, sulla struttura sociale frammentata in gerarchie non ancora tramontate e sulla filosofia Zen del minimalismo assoluto, quella consacrazione dello spazio vuoto all’esterno come nella propria mente, per non parlare della cura maniacale del dettaglio (bonsai, cerimonia del tè, etc.).


Come mai, quindi, la straripante natura farebbe da chiave di lettura per i misteri di un paese che pare vivere una coscienza immutabile, quella dello Zen, dove “il meno è più”? 

La risposta è semplice quanto una sola sillaba: Mu, ovvero “Senza”.


Secondo questo concetto, appartenente anch’esso allo Zen, tutto l’Universo fluisce senza sforzo, ed il compito dell’uomo è di non interferire se non per favorire ulteriormente tale flusso, rendendolo più agevole e rimuovendo eventuali cause di resistenza. 

A pensarci bene, in effetti, la natura giapponese cresce rigogliosa proprio grazie alla complicata morfologia del suo territorio, che regala luoghi incontaminati, terreni ricchi, paesaggi mozzafiato, appunto il dono che l’Universo fa ai giapponesi per ringraziarli di vivere in un territorio così critico.


Ma c’è una figura che della filosofia del “Mu” ha fatto un vessillo da portare in giro per il mondo, donandoci involontariamente il “codice nascosto” per la comprensione della sua terra.

Fedele al principio del “Mu”, il botanico e filosofo Masanobu Fukuoka abbandonò la ricerca convenzionale in campo agrario e, facendo ritorno alla fattoria di famiglia, decise di mettersi a studiare le Scienze Sacre ed a proseguire le sue ricerche di botanica direttamente a braccetto con Madre Natura.

Il magnifico risultato di quegli studi fu la nascita della rivoluzionaria “Agricoltura Naturale del Non Fare” ovvero il “Mu” applicato alle tecniche agrarie. Ecco dunque la soluzione del nostro enigma: il minimalismo giapponese che riduce gli interventi umani e che al contempo conduce al risultato opposto, cioè una abbondante produzione agricola dagli elevati standard di qualità, il tutto senza deturpare il territorio con le classiche operazioni invasive dell’agraria convenzionale.

La Natura, lo sappiamo bene, ha le sue ciclicità, le proprie regole, i suoi motori, e sono la conoscenza ed il rispetto di questi fattori a rappresentare il segreto di un raccolto abbondantesenza sprechi, senza invasività e, permetteteci di aggiungerlo, senza fatica, lasciando fare alla fluidità dell’Universo e al suo dinamismo.

Ciò a cui viene relegato l’uomo è, manco a dirlo, la cura dei dettagli, esercizio contemplativo per antonomasia della filosofia Zen.  


Qui da noi, ispirandosi a questi insegnamenti, Monica Bispo, restauratrice e progettista di spazi verdi, ha dato vita – è proprio il caso di dirlo – ad un “vaso vivente”, realizzato in modo tale che la terra e il seme non necessitino di alcuna particolare attenzione, solo poca acqua ogni tanto. Il segreto, nel rispetto dei principi di Fukuoka, è da attribuire all’impegno e al talento della sua realizzatrice, ma anche alla terra delle sue origini, là dove sono ben ferme le sue radici, un luogo molto lontano dal Giappone ma non meno spettacolare: il Brasile, patria delle straordinarie “casas de barro”, costruite interamente in terra cruda.

La terra cruda è il materiale da costruzione più antico, ecologico e sostenibile al mondo, oltre che il più facile da ottenere, con buona pace dei ricercatori più all’avanguardia.

Una volta “riservata” alle costruzioni per i non abbienti, come spesso accade la terra cruda è stata recentemente riscoperta e promossa per le sue eccelse doti isolanti, per la sua resistenza, nonché per la totale eco-sostenibilità.

Non si tratta altro, in effetti, che di un composto di inerti totalmente naturali lasciato semplicemente essiccare e compattare all’aria aperta, senza alcun bisogno di cottura e, quindi, niente energia e fatica, ma solo aria, luce naturale, tempo e “Mu”.


Resistenti a pioggia e gelo, dal rivestimento in paglia a difesa dall’eccessiva umidità e per produrre quei microrganismi che fertilizzeranno la terra, i vasi di “Terra Cruda” sono il “Mu” a portata di casa, di giardino, di davanzale.

Totalmente privi di cemento, gesso e comprensiva di semi e tutto quel che serve per veder splendere senza alcuna fatica, da sé, una splendida pianta di zafferano, menta o peperoncino.

A te, il minimo sforzo: curare i pochissimi dettagli e goderti la magia di una vita che, come insegna lo Zen, ha solo bisogno di fluire liberamente. 

Forse un po’ come le nostre.


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